Pedagogia in transito

Si può parlare oggi di un nuovo modello di formazione per ciò che concerne la danza contemporanea?

E che tipo di danzatore immaginiamo, per quale forma di danza, per quale genere di spettacolo? Nell’ambito dell’ottava Biennale Danse l’Afrique danse, svoltasi recentemente  a Bamako, il tema è stato affrontato attraverso tavole rotonde, dibattiti o semplicemente scambiando le proprie opinioni tra uno spettacolo e l’altro.

Ne è emerso che il problema della formazione dei danzatori contemporanei è sentito come molto urgente dagli operatori del settore teatrale, che lavorano in una realtà in continuo cambiamento come quella africana.

Credo di potere sintetizzare queste riflessioni formali e informali, in due grandi domande.

La prima è come integrare tradizione e contemporaneità, volendo attingere al ricchissimo patrimonio di danze, musiche e canti ancora vivo nelle pratiche quotidiane e rituali. E intendendo come contemporaneo tutto l’insieme delle tecniche e delle poetiche incontrate fuori dal continente o importate dall’Europa e dall’America.

È apparso evidente, con qualche eccezione, il senso di smarrimento, lo spaesamento culturale dei coreografi africani. La grossa questione è se si possa creare qualcosa di originale, di assolutamente nuovo, di non ancora espresso, sentendolo come il prodotto di una creatività veramente africana.

Il secondo concetto intorno a cui si è ragionato, è strettamente legato al primo, ovvero quale tipo di formazione offrire in loco ai giovani che vogliono intraprendere la carriera professionale nel mondo della danza. Appare subito chiaro che tutti, coreografi, danzatori, pedagoghi, organizzatori, sono consapevoli che non si può trapiantare in Africa il tradizionale modello di formazione legato ad anni di studio presso centri qualificati per l’insegnamento di una o più tecniche. Troppo costoso e soprattutto, troppo lento. La società africana, anche se con differenze sensibili tra i vari paesi, è complessivamente una società in corsa, ansiosa di recuperare il divario non soltanto scientifico o tecnologico con i paesi occidentali.

Per questo motivo nel continente si sta sperimentando una nuova metodologia didattica, quella dello scambio di idee (del resto il baratto è una pratica ancora assolutamente essenziale per le economie locali).

L’obiettivo di un maestro diventa così quello di incidere profondamente il segno del proprio passaggio nel cuore degli allievi, di trasmettere loro il proprio pensiero creativo, innestandolo di volta in volta in situazioni differenti.

Pedagogia in transito, si potrebbe chiamare: collega il passato al presente e si sposta tra i luoghi e le persone.

Cosa ne pensate?

Un Commento

  1. Emiliano

    Personalmente penso che non sia solo un problema dell’Africa (dove sicuramente la questione è più accentuata) e che concerni solo la danza contemporanea (indubbiamente un pò bistrattata).

    Trovo molto interessanti le riflessioni circa il primo punto (copio-incollo e commento per cercare di essere più chiaro):

    “La prima è come integrare tradizione e contemporaneità, volendo attingere al ricchissimo patrimonio di danze, musiche e canti ancora vivo nelle pratiche quotidiane e rituali. E intendendo come contemporaneo tutto l’insieme delle tecniche e delle poetiche incontrate fuori dal continente o importate dall’Europa e dall’America”.

    Sicuramente integrare tradizione e contemporaneità è una questione importante, ma credo anche estremamente delicata, da andarci un pò (anche da danzatori) con i piedi di piombo. Da ignorante (quale sono, circa la danza in generale, e nello specifica per ciò che riguarda la realtà africana) avrei paura di trovarmi davanti qualcosa che non capisco. Spiego meglio. Se penso alla danza “africana” si crea nel mio immaginario qualcosa (sicuramente erroneamente) legato al primordiale, all’inconscio, all’origine, qualcosa che non può essere “ghettizzato” o “arginato” da regole e dèttami. Così come i cori gospel portano con se tutta la frustrazione degli schiavi costretti a lavorare nei campi di cotone, il dramma dell’aparthaid, credo che la danza africana debba conservare il suo fascino misterioso, rituale appunto, magari anche ermetico sotto certi punti di vista, la cui funzione primaria è più sociale che artistica. Ho paura che se si lasciasse contaminare da influenze extra rischierebbe di essere in un certo modo “colonizzata” e di perdere la sua originalità. Ma ripeto, parlo di cuore, senza dati su quali basarmi (quindi ben disposto a ravvedermi).

    “La grossa questione è se si possa creare qualcosa di originale, di assolutamente nuovo, di non ancora espresso, sentendolo come il prodotto di una creatività veramente africana”.

    Questo è un dilemma che affligge ormai tutti noi “artisti” del 2000 (ormai con qualche anno in più). Credo che ormai tutto sia stato già fatto, già detto, già rappresentato. Non a caso le mode ritornano. Il “vecchio” viene prelevato dalla soffitta, spolverato e rimesso in mostra come nuovo. Credo però che quello che veramente conti, sia il modo come viene riportato alla luce il passato. Sicuramente ognuno può riappropriarsi di un pezzetto di “storia già fatta” e rifarla sua, ponendola sotto una nuova prospettiva. E soprattutto, essenziale, è essere sempre se stessi. Questo almeno io mi pongo come obiettivo. Solo così, a mio avviso, si può fare arte. L’originalità sta quindi forse nell’appropriarsi di qualcosa già esistente ma di farlo proprio a tal punto da renderlo nuovo, innovativo.

    Per quanto riguarda la formazione trovo estremamente intelligente il fatto che (quoto) “non si può trapiantare in Africa il tradizionale modello di formazione legato ad anni di studio presso centri qualificati per l’insegnamento di una o più tecniche. Troppo costoso e soprattutto, troppo lento”; proprio perché, come scritto da lei, l’Africa è un paese che ha una forte urgenza di raccontarsi in modo serio e deciso (e non certo tramite il Waka-waka, che poi è una visione occidentale trapiantata se vogliamo dirla tutta).

    Per concludere questo mio lungo sproloquio una sola riflessione circa l’interessantissimo metodo dello “scambio di idee”: non è che possiamo apportarlo pure in Accademia? Eviteremmo forse così di sentirci come tanti cetriolini strizzati in un barattolo sottovuoto…

    E.

    • monicavannucchi

      Caro cetriolino, intanto grazie della lunga riflessione. Sul primo punto, come conciliare tradizione e contemporaneità, ti dirò, per averlo visto con i miei occhi, che ci stanno provando in tutti i modi. Cercando di preservare la funzione rituale, sacra, ma anche avvicinando quel materiale ad altri e contaminandolo, in senso buono. Non sempre il risultato è positivo, ma quando funziona, è esplosivo! Se ci pensi anche da noi , con materiale musicale legato a tradizioni locali, come quelle salentine o sarde, per fare due esempi, si è fatta un’operazione analoga; quando il tentativo è serio e “alto” e non commerciale, produce curiosità, interesse e avvia un cortocircuito fertile. E già in passato , abbiamo avuto esempi, sempre in ambito musicale, proprio di radici africane da cui sono germogliate piante straordinarie:il blues e il jazz, no? Sul secondo punto, tornerò. Promesso.

  2. Irene

    Ciao Monica! Prima di tutto tanti auguri! Mi dispiace molto per l’ultima lezione, ma non ero proprio in condizione di poter venire! Devo ammettere che questo articolo mi ha colpita molto, anche in relazione a ciò che ha detto il mio caro collega! Monica, non so proprio come fai, ma anche solo attraverso ciò che scrivi, a me passa movimento… Nell’articolo parli di integrazione tra Tradizione e Contemporaneità..Prima di tutto, giuro, è la prima volta che il concetto di danza Contemporanea, si chiarisce nella mia testa, come legata al significato vero e proprio della parola “contemporanea”… partendo da questo termine, ammetto che possa essere davvero difficile per il popolo africano adattarsi ad uno stile che per quanto alternativo e costantemente in evoluzione come la danza contemporanea, rimane qualcosa di “limitante”, perchè quasi “distruttivo”, dovendo comunque fare una scelta tra l’abisso di tradizioni che appartengono a questo popolo! C’è una canzone di Franco Battiato che mi ha illuminata, come se mi si fosse accesa una lampadina in testa, che dice “nei ritmi ossessivi la chiave dei riti tribali..”secondo me questa strofa può portare il popolo africano a capire come si possa sfruttare l’universo di movimenti e di differenti approcci con la realtà, con la natura in particolare, che hanno caratterizzato la loro nascita. Loro possono davvero insegnare a noi come usare il movimento, per quale motivo il corpo può muoversi in quell’istante in quel modo… La loro più grande arma e chiave di lettura del Mondo è il loro spirito profetico… quindi la danza usata come invocazione, come riconoscimento verso un qualcuno, un qualcosa, che genera una sensibilità comunicativa collettiva, cosa che invece in Occidente non è proprio conosciuta! Secondo me è questo che può far nascere un differente approccio con il movimento, innovativo, e non quasi schernente nei confronti di una tradizione così vasta. In particolare perchè è una danza estremamente simbolica, che sfrutta una percezione della Natura a livelli estremi per riproporre l’archetipo ad esempio della circolarità, intesa come Mondo Rotante, come Vita che attraverso l’uso dei ritmi ossessivi ricorda il battito incessante e costante del cuore.. In Occidente invece ognuno balla per sè, con se stesso, senza lasciar spazio agli altri… Quindi anche solo la capacità di razionalizzare la potenza dei ritmi ossessivi, come dice Battiato, è già un passo in avanti, non solo per loro, ma anche per noi, visto che non siamo così abituati a recepire la realtà come di fatto, ma dobbiamo razionalizzarla…Non so se questo processo di avvicinamento al movimento partendo da una ritualità come può essere l’invocazione, possa avvicinarsi alla danza contemporanea..tu che ne pensi? Il secondo punto è stato davvero interessante! L’utilizzo figurato del baratto può aiutare un sacco secondo me l’approccio al movimento attraverso un processo razionale, che è appunto la lingua parlata, lo scambio d’opinioni!! Essendo abituati, come ho detto, ad un approccio differente, molto più emozionale, sensibile, proporre un metodo basato sulla razionalità potrebbe essere profondamente limitante e difficile! Magari invece un metodo basato su un simbolo come il baratto, come dici te, tradizionale nel pensiero comune, potrebbe aiutare ad arrivare ad una razionalizzazione del concetto passando per una via molto più semplice e schematica.. !
    Irene

  3. mucca carolina

    mucca carolina non capisce dove sia finita la sua risposta al post.
    mucca carolina ribadisce in ogni caso di essere pronta per partire

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